i and god

The following text is a translation of the book ‘i and god’ by Corrado Malanga, a precious inquiry into the nature of phenomena from the experience of one who’s particular path is within the realm of scientific study, a language and approach that may be quite useful for many.

PREMISE
Many times, in my books or during my conferences, I have had the opportunity to talk about the key concept of “Everything” – trivially expressed by the phrase <<We are God>> – without however going into depth. Now, after about forty years of studies, the time has come for me to address the problem of the essence of God directly and specifically.
An undoubtedly burning issue on which all – and I mean all – the world’s major philosophers have had the opportunity to express themselves, proving how this problem is still and eternally relevant. It does not surprise me, therefore, that man is still looking for an answer to the question <Does God exist or not?>, obviously followed by the question “And if he exists, what is he like?”
Once upon a time, at school, philosophy courses tended to teach philosophical reasoning, and in that context the speeches and theses of the fathers of the Church were reported (extremely, as obviously interested in getting their message across to the people). Among these in particular Saint Augustine and Anselm of Aosta, with his ontological proof,1 attempted to give a credible demonstration of the existence of God: a demonstration which, however, although based on well-structured reasoning, is not free from obscure points which prevent its validation. On the other hand, science, although posing the problem of the existence of God in a different way, seems equally incapable of solving it.
Science starts from the idea that God is an object to be measured, while the Church starts from the assumption that he exists and is a perfect being. The main challenge that science poses the Church is that of starting from unproven and unprovable assumptions; at the same time, however, a science like physics, based on the imperfect language of mathematics, would never be able to describe something perfect, if it existed.
In this context, however, God is given an attribute of perfection “regardless”. But who says that if God existed, he would be perfect? No one in particular says it, but this belief is part of the very definition of God: the true God would never be identified with an imperfect or almost perfect God.
But let’s move on. For science, to be describable, God must be observable and belong to the universe; for religion, however, He can also exist outside the universe, without having to be describable and objectifiable within it.
While religion exists because – and as long as – God exists, science (which does not have this limitation) can assume that a God exists even if there is no religious attitude.
The question then becomes: is the existence of God connected by definition to the existence of the universe?
And the answer is positive, because God, by definition, is the one who created the universe.
Can we therefore say that if the universe exists then God exists? For religion this is an established fact, but it is not at all for science, which contemplates the existence of chance. Could the creation of the universe be attributed entirely to chance? And why should chance have created the universe? Here it is easy to answer: for no reason, since chance has no why.
In these pages I will try to clarify the depth of these questions, outlining an answer that I hope will prove effective in putting an end to the useless – if not actually harmful – historical and political diatribes on this problem. As we proceed, in addition to science, myth, common sense and the idea of the “sense of things” will help us, without which we can go nowhere.
We will discover together that the physical observation of the universe in its formulas already has the answers and that there are no doubts about the solution to this problem, giving a logical demonstration of the fact that only those who do not want to see the reality of things will not realize it .
I decided to title this book ‘Io e Dio’ (i and God) because, by pronouncing it out loud (in italian), one realizes how it also sounds like i and i: a phonetic game that metaphorically highlights how those who seek God, in the end, find – and will inevitably find – only and inexorably himself.
Those who deeply fear this encounter will continue to believe in a God external to their own Self, capable of taking on all of humanity’s guilty instincts: mind you not if our awareness constantly creates an uncomfortable reality for many, but necessary for everyone.

Should this text be regarded by others a precious instrument of consciousness, let me know, i can go on translating.

io ed io

Di seguito un estratto del libro ‘io e dio’ di Corrado Malanga, una preziosa indagine sulla natura dei fenomeni, l’esperienza di qualcuno il cui percorso è nell’ambito dello studio tramite la scienza, un linguaggio e approccio che può essere utile per molti.

PREMESSA

Molte volte, nei miei libri o nel corso delle mie conferenze, ho avuto modo di parlare del concetto chiave del “Tutto” – banalmente espresso dalla frase <<Noi siamo Dio>> – senza tuttavia approfondirlo. Adesso, dopo circa quanrant’anni di studi, e per me giunto il momento di affrontare in modo diretto e specifico il problema dell’essenza di Dio.
Una tematica senz’altro scottante e sulla quale hanno avuto modo di esprimersi tutti – e dico proprio tutti – i maggiori filosofi del mondo, a riprova di quanto questo problema sia ancora ed eternamente attuale. Non mi stupisce, quindi, che l’uomo sia ancora alla ricerca di una risposta alla domanda <<Dio esiste o no?>>, ovviamente seguita dall’interrogativo “E se esiste, com’e fatto?>>
Un tempo, a scuola, nei corsi di filosofia si tendeva a insegnare il ragionamento filosofico, e in quell’ambito veniva riportati i discorsi e le tesi dei padri della Chiesa (estremamente, quanto ovviamente interessati a far passare al popolo il proprio messaggio). Tra questi in particolare Sant’Agostino e Anselmo d’Aosta, con la sua prova ontologica,1 tentarono di dare una dimostrazione credibile dell’esistenza di Dio: una dimostrazione che pero, pur poggiando su ragionamenti ben strutturati, non e esente da punti oscuri che ne impediscono la validazione. Dal suo canto la scienza, pur ponendosi il problema dell’esistenza di Dio in modo diverso, pare altrettanto incapace di risolverlo.

La scienza muove dall’idea che Dio sia un oggetto da misurare, mentre la Chiesa dal presupposto che esista e sia un essere perfetto. La principale contestazione che la scienza fa alla Chiesa e quella di partire da presupposti non dimostrati e indimostrabili; al contempo, tuttavia, una scienza come la fisica, basata sul linguaggio non perfetto della matematica, non sarebbe mai in grado di descrivere qualcosa di perfetto, qualora esso esistesse.
In questo contesto, pero, si da a Dio un attributo di perfezione “a prescindere”. Ma chi lo dice che Dio se esistesse, sarebbe perfetto? Non lo dice nessuno in particolare, ma tale convinzione fa parte della definizione stessa di Dio: il vero Dio non sarebbe mai identificato con un Dio imperfetto o quasi perfetto.

Ma andiamo avanti. Per la scienza Dio, per essere descrivibile, dev’essere osservabile e appartenere all’universo; per la religione invece Egli può esistere anche al di fuori dell’universo, senza che debba essere descrivibile e oggettivabile all’interno di esso.
Mentre la religione esiste perché – e finche – esiste Dio, la scienza (che non ha questa limitazione) può presumere che un Dio esista anche se non esiste un atteggiamento religioso.
La domanda diviene quindi: l’esistenza di Dio si collega per definizione all’esistenza dell’universo?
E la risposta e positiva, perché Dio, per definizione, e colui che ha creato l’universo.
Si può dunque affermare che se l’universo esiste allora esiste Dio? Per la religione questo e un dato assodato, ma non lo e affatto per la scienza, che contempla l’esistenza del caso. La creazione dell’universo potrebbe essere attribuita per intero al caso? E perché mai il caso avrebbe dovuto creare l’universo? Qui e facile rispondere: per nessun motivo, poiché il caso non ha un perché.
In queste pagine cercherò di chiarire la portata di questi interrogativi, delineando una risposta che spero si riveli efficace a porre fine alle inutili – se non proprio dannose – diatribe storiche e politiche su questo problema. Nel procedere, oltre alla scienza ci verranno in aiuto il mito, il buonsenso e l’idea del “senso delle cose”, senza il quale non si va da nessuna parte.

Scopriremo insieme che l’osservazione fisica dell’universo nelle sue formule possiede già le risposte e che non vi sono dubbi sulla soluzione di questo problema, dando dimostrazione logica del fatto che non se ne renderanno conto solo coloro che non vogliono vedere la realtà delle cose.
Ho deciso di intitolare questo libro Io e Dio perché, pronunciandolo a voce alta, ci si avvede di come esso suoni anche come Io ed io: un gioco fonetiche che mette metaforicamente in evidenza come chi cerca Dio, alla fine, trova – e non potrà che trovare – solamente e inesorabilmente se stesso.
Coloro che temono profondamente questo incontro continueranno a credere in un Dio esterno al proprio Se, in grado di farsi carico di tutti gli istinti di colpa dell’umanita: costoro non ce ne vogliano se la nostra consapevolezza crea costantemente una realtà scomoda per molti, ma necessaria per tutti.

yo y dios

El siguiente texto es una traducción del libro ‘yo y dios’ de Corrado Malanga, una maravillosa investigación sobre la naturaleza de los fenomenos, la experiencia de alguien el cuyo camino ha sido en el ámbito del estudio científico, un lenguaje y modo que puede ser útil para muchos.

PREMISA

Muchas veces, en mis libros o durante mis conferencias, he tenido la oportunidad de hablar sobre el concepto clave de “Todo” – expresado trivialmente por la frase <<Nosotros somos Dios>> – sin entrar en profundidad. Ahora, después de unos cuarenta años de estudios, ha llegado el momento de abordar el problema de la esencia de Dios directa y específicamente.
Un tema sin duda candente sobre el cual todos -y quiero decir todos- los principales filósofos del mundo han tenido la oportunidad de expresarse, demostrando que este problema sigue siendo eternamente relevante. No me sorprende, por tanto, que el hombre siga buscando una respuesta a la pregunta <<¿Dios existe o no?>>, seguida obviamente de la pregunta “¿Y si existe, cómo es?”
Érase una vez, en la escuela, los cursos de filosofía tendían a enseñar razonamientos filosóficos, y en ese contexto se relataban los discursos y tesis de los padres de la Iglesia (sumamente, como obviamente interesados ​​en hacer llegar su mensaje al pueblo). Entre ellos, en particular, san Agustín y Anselmo de Aosta, con su prueba ontológica1, intentaron dar una demostración creíble de la existencia de Dios: demostración que, sin embargo, aunque basada en un razonamiento bien estructurado, no está exenta de puntos oscuros que impiden su validación. Por su parte, la ciencia, aunque plantea el problema de la existencia de Dios de otra manera, parece igualmente incapaz de resolverlo.

La ciencia parte de la idea de que Dios es un objeto a medir, mientras que la Iglesia parte del supuesto de que existe y es un ser perfecto. El principal desafío que la ciencia plantea a la Iglesia es el de partir de supuestos no probados e indemostrables; al mismo tiempo, sin embargo, una ciencia como la física, basada en el lenguaje imperfecto de las matemáticas, nunca sería capaz de describir algo perfecto, si existiera.
En este contexto, sin embargo, a Dios se le da un atributo de perfección “independientemente”. Pero ¿quién dice que si Dios existiera sería perfecto? Nadie en particular lo dice, pero esta creencia forma parte de la definición misma de Dios: el Dios verdadero nunca sería identificado con un Dios imperfecto o casi perfecto.
Pero sigamos adelante. Para que la ciencia sea descriptible, Dios debe ser observable y pertenecer al universo; para la religión, sin embargo, Él también puede existir fuera del universo, sin tener que ser descriptible y objetivable dentro de él.
Si bien la religión existe porque -y mientras- Dios exista, la ciencia (que no tiene esta limitación) puede asumir que un Dios existe incluso si no hay una actitud religiosa.
La pregunta entonces es: ¿está la existencia de Dios conectada por definición con la existencia del universo?

Y la respuesta es positiva, porque Dios, por definición, es quien creó el universo.
¿Podemos entonces decir que si el universo existe entonces Dios existe? Para la religión esto es un hecho establecido, pero no lo es en absoluto para la ciencia, que contempla la existencia del azar. ¿Podría atribuirse enteramente al azar la creación del universo? ¿Y por qué el azar debería haber creado el universo? Aquí es fácil responder: sin motivo, ya que el caso no tiene por qué.
En estas páginas intentaré aclarar el alcance de estas preguntas, esbozando una respuesta que espero resulte eficaz para poner fin a las inútiles -cuando no perjudiciales- diatribas históricas y políticas sobre este problema. A medida que avanzamos, además de la ciencia, nos ayudarán el mito, el sentido común y la idea del “sentido de las cosas”, sin los cuales no podemos llegar a ninguna parte.
Descubriremos juntos que la observación física del universo en sus fórmulas ya tiene las respuestas y que no hay dudas sobre la solución a este problema, dando una demostración lógica de que sólo aquellos que no quieren ver la realidad de las cosas no se darán cuenta.
Decidí titular este libro ‘io e Dio’ (yo y Dios) porque, al pronunciarlo en voz alta, uno se da cuenta de cómo también suena como yo y yo: un juego fonético que metafóricamente resalta cómo quien busca a Dios, al final, encuentra -y no podrá que- encontrar – única e inexorablemente a sí mismo.
Quienes temen profundamente este encuentro seguirán creyendo en un Dios externo a sí mismo, capaz de asumir todos los instintos culpables de la humanidad: no les importe si nuestra conciencia crea constantemente una realidad incómoda para muchos, pero necesaria para todos.

Si otros consideran este texto como un precioso instrumento de conciencia, háganmelo saber, puedo seguir traduciendo.

sons & daughters / gratitude

gratitude is the natural consequence of the awareness of being and the preciousness of manifestation to it’s recognition, a sign of wisdom/presence/consciousness, whether it is verbally expressed or not, gratitude with this quality is an inner state of i that will permeate every thing the i in question expresses through, it is a ‘perfume’ if you will.

it is something i speak of often with my sons & daughter, first the invitation to be aware of what ‘i’ has the possibility to experience and the precious instrument experience (of any kind) is for the deepening of consciousness

so if i have the possibility to sit comfortably at a table with food to nurture the body, i perceives the comfort in sitting, acknowledges breathing, perhaps the presence of other wo/men, a table that has everything needed for a meal, the cleanliness and order of the space, the prepared dish and all that was necessary for it to arrive there: the sun, air, earth, water, all elements that allowed a plant to grow, one who sowed the seed, one that harvested, one who cooked, care, time… it is an infinite list when described with words, in fact it does not happen at all through thought, it happens instantly, a knowing without labels, and the more deeply rooted i is the more it will be able to acknowledge.

initially and in the most external part of the spiral and with regards to gratitude, it may occasionally arise when things that are considered extraordinary by i happen in the life of i, there is joy, excitement, surprise, i is shallowly rooted and cannot but be very selective as to what is considered precious with the consequence that i will experience much suffering, life will always indicate the preciousness of all manifestation, should i be open to inquire and understand the nature of life. at some point i may realize what a precious instrument of consciousness difficulty/suffering is, that is quite a step that requires i to have inquired more deeply into the nature of life, the consciousness that difficulty/pain/suffering, unwanted states of i, take i to inquire: why is this happening to i? who is i? why is there difficulty/pain/suffering? through these precious questions and the openness questioning implies, i may begin to realize that most suffering is caused by identification with ideas, judgement, conditioning… thoughts will begin to loose their grip through this recognition and eventually come and go like passing clouds in the presence of i. i will no longer be suffering but recognize suffering when it appears and i having acknowledged it’s precious role may be grateful for the indication.
towards the inner part of the spiral and in the above natural order, i may begin to be grateful for the small everyday things that appear constantly in the life of i, gratitude naturally expressing ever more deep and ever more often, moment by moment.

figli/e / gratitudine

la gratitudine è la naturale conseguenza della consapevolezza dell’essere e della preziosità della manifestazione al suo riconoscimento, un segno di saggezza/presenza/coscienza, che sia espresso verbalmente o meno, la gratitudine con questa qualità è uno stato interiore di io che permeerà ogni cosa attraverso cui l’io in questione si esprime, un ‘profumo’ se si vuole. è qualcosa di cui parlo spesso con i miei figli/a, prima l’invito ad essere consapevoli di ciò che “io” ha la possibilità di sperimentare e lo strumento prezioso che l’esperienza (di qualsiasi tipo) è per l’approfondimento della coscienza quindi se ho la possibilità di sedermi comodamente a tavola con del cibo per nutrire il corpo, percepisco la comodità nello stare seduto, riconosco il respiro, forse la presenza di altre donne/uomini, una tavola che ha tutto il necessario per un pasto, la pulizia e l’ordine dello spazio, il piatto preparato e tutto ciò che è necessario perché arrivasse lì: il sole, l’aria, la terra, l’acqua, tutti elementi che hanno permesso a una pianta di crescere, chi ha seminato, chi ha raccolto, chi ha cucinato, la cura, il tempo… è un elenco infinito se descritto con le parole, infatti non avviene affatto col pensiero, avviene all’istante, un conoscere senza etichette, e più profondamente io è radicato più sarà in grado di riconoscere.
inizialmente e nella parte più esterna della spirale e per quanto riguarda la gratitudine, può occasionalmente sorgere quando accadono cose che sono considerate straordinarie nella vita di io, c’è gioia, eccitazione, sorpresa, io è poco radicato e non può che essere molto selettivo su ciò che è considerato prezioso con la conseguenza che sperimenterò molta sofferenza, la vita indicherà sempre la preziosità di ogni manifestazione, se sono aperto a indagare e comprendere la natura della vita. ad un certo punto potrei rendermi conto di quale prezioso strumento della coscienza la difficoltà/sofferenza sia, questo è un bel passo che richiede di aver indagato più profondamente sulla natura della vita, la consapevolezza che difficoltà/dolore/sofferenza, stati indesiderati di io, mi portano a domandare: perché accade questo a io? chi sono io? perché c’è difficoltà/dolore/sofferenza? attraverso queste preziose domande e l’apertura che la domanda implica, posso iniziare a rendermi conto che la maggior parte della sofferenza è causata dall’identificazione con idee, giudizi, condizionamenti… tutti pensieri, i pensieri inizieranno a perdere la presa attraverso questo riconoscimento e alla fine andranno e verranno come nuvole passeggere in presenza di io, io non soffrirò più, ma riconoscerò la sofferenza quando apparirà e avendo riconosciuto il suo prezioso ruolo posso essere grato per l’indicazione. verso la parte interna della spirale e nell’ordine naturale di cui sopra, inizia a sorgere gratitudine sempre più sovente, essere grato per le piccole cose quotidiane che appaiono costantemente nella vita di io, sempre più profonda, momento per momento.

sons & daughters/ pure intent

intent is not a thought or idea, it is conscious attention on a purpose or outcome that is yet to manifest (as the seed contains the tree) that leads i to take action in a certain direction (an oak and not a peach) and not in another; it may be accompanied if necessary by thoughts useful for the action to be undertaken, but intent is not a thought or idea, it is much more like intuition, thoughts are much slower, intuition and intent are immediate; if i were to indicate a sensory place for intent and intuition i would indicate the heart, that is probably why many use the word ‘hunch’ or ‘feeling’ to indicate such phenomenon, but in my observation that is secondary; these phenomena are not contents of the mind but capacities of the mind, the container itself.
intent is conscious, instinct is reactive/unconscious it originates in a different place
intent is pure when it is rooted in being and is not then confused or mixed up with conditioning/ideas, desires (which also originate in a different place).
pure intent is clear in purpose and outcome, clarity is not to be confused with attachment which is of opposite nature.
i have often encountered/observed wo/men that while inquiring the nature of being, for a time reject/disregard intent, they will not speak of it, nor contemplate it until it is no longer confused/associated with ideas/conditioning/egoicthoughtforms/unconsciousness/instinct, this confusion is one of the big challenges of our times.
intent is a precious instrument of consciousness, and when recognized, pure intent is an expression of the creative potential of wo/man kind.

figli/e / puro intento

l’intento non è un pensiero o un’idea, è l’attenzione cosciente su un proposito/fine/risultato che deve ancora manifestarsi (come il seme in cui è contenuto l’albero) che porta ad agire io in una certa direzione (una quercia e non un pesco, per esempio) e non in un’altra; può essere accompagnato se necessario da pensieri utili all’azione da intraprendere, ma l’intento non è un pensiero o un’idea, è molto più simile all’intuizione, i pensieri sono molto più lenti, l’intuizione e l’intento sono immediati; se dovessi indicare un luogo sensoriale per l’intento e l’intuizione indicherei il cuore, probabilmente per questo molti usano la parola ‘sentore’ o ‘presentimento’ per indicare tale fenomeno, ma nella mia osservazione questo è secondario; questi fenomeni non sono contenuti della mente ma una capacità della mente, il contenitore stesso. l’intento è conscio, l’istinto è reattivo/inconscio ha origine in un luogo diverso; l’intento è puro quando è radicato nell’essere e non è quindi scambiato o confuso con condizionamenti/idee, desideri (anche loro hanno origine in un luogo diverso). il puro intento è chiaro nel proposito e nel risultato, la chiarezza non deve essere confusa con l’attaccamento che è di natura opposta; ho spesso incontrato/osservato donne/uomini che mentre indagano sulla natura dell’essere, per un certo periodo rifiutano/ignorano l’intento, non ne parleranno, né lo contempleranno finché non sarà più confuso/associato a idee/condizionamenti/forme-pensiero egoiche/ incoscienza/istinto, questa confusione è una delle grandi occasioni e difficoltà dei nostri tempi. l’intento è un prezioso strumento della coscienza e, quando riconosciuto, il puro intento è un’espressione del potenziale creativo del genere donna/uomo.

insight 23.03

a fundamental difference between an i conscious of being and an i that is unconscious (unaware of being/completely identified with the form of i) at any given moment (here and now), is not the absence of oversight* (although more likely to occur), but the openness/space to recognize an oversight when it happens; it is only then that indications are welcomed and sincere gratitude may be expressed.

*oversight.- a partial/selective perception of the present moment regarding i, ignoring aspects of the here/now

una differenza fondamentale tra un io cosciente dell’essere ed un io che è incosciente (inconsapevole dell’essere/completamente identificato con la forma di io) in un determinato momento (ora, adesso), non è l’assenza di sviste* (anche se è più probabile che si verifichi), ma l’apertura/spazio (data/o dall’essere) per riconoscere una svista quando accade; è solo così che le indicazioni sono benvenute e sincera gratitudine espressa.

*svista.- una percezione parziale/selettiva del momento presente che riguarda io, ignorando aspetti dell’ora/adesso

sons & daughters / autonomy

before writing articles and giving them a title i often look up words in the dictionary to better comprehend the shared meaning of a word. looking up the word ‘autonomy’ was truly fascinating. it seems quite shared and clear that there is something particular about each form (or wo/man) that intimately regards him/her but most definitions are unable to contemplate the apparent contradiction between autonomy and interdependence (being separate and yet connected)… the inquiry into this phenomenon is of great depth and a marvelous opportunity.

Britannica Dictionary definition of AUTONOMY
1 : the state of existing or acting separately from others : independence
• a teacher who encourages individual autonomy
2 : the power or right of a country, group, etc., to govern itself
• The territory has been granted autonomy.

difference/separateness (forms of i) is functional/necessary and precious to the recognition of being (formless previous to form) by every wo/man, the awareness of this fact allows the form (wo/man) to be able to discern what regards him/her and what does not.
the baby, wo/man cub, goes from complete dependence (possible through interdependence) unaware of separateness, gradually discovering the i different from others, first through the five senses (perceptions in relation to the i in question) and finally the sixth (mind/intuition also a perception but of subtle nature)
discovering autonomy: first steps, first words, bringing food to mouth…. much later: preparing ones food…etc..
the natural inquiry into this phenomenon will take the young wo/man to separate more and more from mother/father until he/she is able to go live alone, in such a situation it is undeniable what regards him/her, he/she cannot escape from him/herself there is no other i to get confused with; this is the possibility to fully discover him/herself, a fundamental step before conscious interdependence and true/harmonious collaboration.

figli/e / autonomia

prima di scrivere articoli e dare loro un titolo speso cerco le parole sul dizionario per comprendere meglio ciò che è il significato condiviso di una parola. cercare la parola ‘autonomia’ è stato affascinante. sembra piuttosto condiviso e chiaro che c’è qualcosa di particolare in ogni forma (uomo/donna) che lo/a riguarda ma la maggior parte delle definizioni non contemplano l’apparente contraddizione tra autonomia e interdipendenza (essere separati eppure collegati)… l’indagine su questo fenomeno è di grande profondità ed un’opportunità meravigliosa.

autonomìa s. f. [dal gr. αὐτονομία; v. autonomo]. – 1. In senso ampio, capacità e facoltà di governarsi e reggersi da sé, con leggi proprie, come carattere proprio di uno stato sovrano rispetto ad altri stati. Con riferimento a enti e organi dotati d’indipendenza, il diritto di autodeterminarsi e amministrarsi liberamente nel quadro di un organismo più vasto, senza ingerenze altrui nella sfera di attività loro propria, sia pure sotto il controllo di organi che debbono garantire la legittimità dei loro atti… [treccani]

le differenze/separazione (forme di io) sono funzionali/necessarie e preziose per il riconoscimento dell’essere (senza forma/prima della forma) da parte di ogni uomo/donna, la consapevolezza di questo fatto rende possibile il discernimento su ciò che la/o riguarda e ciò che invece no.
il bebè, cucciolo di uomo/donna, va dalla completa dipendenza (possibile attraverso l’interdipendenza) senza alcuna consapevolezza dell’essere separato, gradualmente scoprendo il ‘io’ diverso da gli altri, prima attraverso i cinque sensi (percezioni in relazione all’io in questione) e finalmente attraverso il sesto senso (mente/intuizione, percezione anch’essa ma di natura sottile)
scoprire l’autonomia: i primi passi, le prime parole, portare il cibo alla bocca con le proprie mani… più tardi: procurarsi/prepararsi il proprio cibo… ecc
l’indagine naturale su questo fenomeno porterà la giovane donna/uomo a cercare di separarsi sempre di più da mamma/papa finché non riesce a vivere da sola/o, in quella situazione sarà innegabile ciò che la/o riguarda, non si scappa, non c’e alcun altro ‘io’ con cui confondersi e/o delegare; questa è la possibilità di scoprire la forma completamente, un passo fondamentale prima di un’interdipendenza consapevole e vera/armoniosa collaborazione.

pain /nature’s resources

Through the observation of various phenomena it becomes clear that if ‘i’ is in conflict with whatever is in its field of perception, uneasiness/dysfunction/stress/suffering will arise or increase if already there, this is especially evident when acute pain (the one that will stop you from doing anything else except give attention to it) is being experienced, the immediate reaction in most is that of rejection, the desire to make it go away, often this reaction has the effect of pain dwelling longer, until the ‘i’ in question lets it be, is with it, no conflict involved, then, it begins to subside, it runs its course, and it’s function of flag has been made conscious (an invitation to give attention to the body and care for it).
Some are in such a state of rejection/refutal of what is, that their sense perceptions are hindered and therefore they stop perceiving the object of rejection, this does not mean it is not there, the i is simply denying it, often phenomena that generate inner conflict will continue to appear and linger until the i is not only aware of it but is able to be with it in peace. Pain in this sense has a ‘purifying’ effect.

dolore /risorse della natura

Attraverso l’osservazione di vari fenomeni diventa chiaro che se ‘io’ è in conflitto con quello che è nella sua sfera di percezione, disagio/disfunzione/stress/sofferenza sorgeranno o aumenteranno se sono già presenti, questo è particolarmente evidente quando il dolore acuto (quello che ti ferma dal fare qualunque altra cosa tranne darli attenzione) viene sperimentato, la reazione immediata di molti è quella di rifiuto, il desiderio di farlo andare via, speso questa reazione ha l’effetto di far rimanere più a lungo il dolore finche l ‘io’ di turno non lo lascia essere, è con esso, senza conflitto, poi, comincia a svanire, a fare il suo corso, e la sua funzione di allerta diventa conscia (un invito a dare attenzione al corpo e prendersi cura).
Alcuni sono in uno stato così forte di rifiuto/rigetto di quello che è, che i loro sensi di percezione sono ostacolati, non funzionano e quindi smettono di percepire l’oggetto del rifiuto, questo non vuol dire che non sia li, semplicemente l’io’ lo nega (ignoranza), speso fenomeni che sono oggetto di conflitto interiore continueranno ad apparire e rimanere finche ‘io’ non solo ne prende atto ma riesce anche stare con esso in pace. Questo è l’effetto di ‘purificazione’ che il dolore puo’ avere.

sons & daughters/ i – dentity?

Identity 
1. the fact of being who or what a person or thing is.

Where or what is identity without the question: who am i? Who is i? 

Most commonly, i, is referred to a sentient form, aware of itself, different from others, capable of expressing itself through the word i, therefore it’s so called identity most often is a description of characteristics or adjectives that regard the i in question, a name, a surname, a description of the body, when and where it was born, etc… but who is/am i? The answer is perhaps embedded in the question, without the being (is/am) the question could not be put forth. So there is no i without being. Where/what is beingness? could it be described? is it formless?
Is being then a prerogative of any i no matter what form expresses it? a common ground to all?
Could we say i and being go hand in hand or rather, one cannot be aware of itself without the other?
Through this recognition could the diversity of forms ever generate conflict? could identity as a list of adjectives or characteristics of a given form ever generate conflict?
If the beingness of i is completely disregarded what are the consequences of such fundamental oversight? can being be recognized by a machine? software, hardware? is discernment possible?
All inquiry leads to the same place, in this case through language.

identità s. f. [dal lat. tardo identĭtas-atis, der. di idem «medesimo», calco del gr. ταὐτότης]. – 1.L’essere identico

Dovè o cosè l’identità senza la domanda: chi sono io? chi è io?
Più comunemente, io si riferisce ad una forma senziente, consapevole di sé, diversa da altre forme, capace di esprimere se stessa attraverso l’utilizzo della parola ‘io’, quindi la sua cosiddetta identità e spesso una descrizione delle sue caratteristiche o aggettivi che riguardano l’io in questione, un nome, un cognome, una descrizione del corpo, dove e quando è nato… ecc ma chi è/sono io? La risposta si trova magari nella domanda, senza l’essere (è/sono) la domanda non potrebbe essere posta. Quindi non c’è io senza essere. Dove/Cosa è l’essere? può essere descritto? è senza forma?
L’essere quindi è una prerogativa dell’io non importa quale forma lo esprime? un terreno comune a tutto?
Possiamo dire che l’io e l’essere sono prerogativa uno dell’altro o meglio, uno non può essere consapevole di sè senza l’altro?
Attraverso questo riconoscimento, puo mai la diversità delle forme essere fonte di conflitto? l’identità inteso come una lista di aggettivi o caratteristiche di una determinata forma generare conflitto?
Se invece l’essere di io viene completamente ignorato, quali sono le conseguenze di questa svista fondamentale? può l’essere venire riconosciuto da una macchina? da un software, hardware? ha la capacità di discernimento?

L’indagine porta sempre alla radice di tutte le cose, in questo caso attraverso il linguaggio.